Quando la salute mentale passa dai social media

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Servizio comunicazione istituzionale

23 Gennaio 2023

Può un Tweet o un post su Instagram dirci qualcosa sulla nostra salute mentale? Quanto è importante la relazione tra benessere e l’utilizzo di queste piattaforme? Per rispondere a queste domande Marta Fadda, ricercatrice in bioetica all'USI, Oliver Grübner, geografo della salute, e Marcus Wolf, psicologo, entrambi dell’Università di Zurigo, hanno condotto una serie di studi per dimostrare l’utilità delle piattaforme social per la ricerca nell’ambito della salute mentale. Il team dei tre ricercatori si è aggiudicato la prima edizione dell’UZH Postdoc Team Award. L’obiettivo di questa ricerca interdisciplinare è quello di indagare i legami esistenti tra i post sui social media e la salute mentale della popolazione. Ce ne parla la dott.ssa Marta Fadda.

 

In cosa consiste la ricerca? Che strumenti utilizza?

La ricerca consiste nell’analisi di una vasta quantità di tweet, per i quali era disponibile la localizzazione geografica dell’utente al momento della condivisione, utilizzando degli strumenti innovativi di riconoscimento delle emozioni. Come si può immaginare, l’estrazione, la conservazione, l’analisi e la condivisione dei dati e dei risultati dei vari studi che abbiamo condotto ha importanti implicazioni etiche e legali. Per esempio, gli utenti non forniscono il consenso informato per l’analisi dei loro tweet per fini specifici di ricerca come succede solitamente in altri studi, e la conservazione di questi tweet potrebbe esporre gli utenti a dei rischi rispetto alla loro privacy. Personalmente, mi sono occupata di analizzare le questioni etiche e legali legate ai vari studi che abbiamo portato avanti, e di coordinare il team nell’identificazione e implementazione di soluzioni eticamente e legalmente giustificabili. In poche parole, mi sono chiesta se fosse etico e legale mettere in pratica le tecnologie che avevamo a disposizione per rispondere alle nostre domande di ricerca con la tipologia di dati raccolti.

 

Come si fa a determinare la salute mentale di una persona da quello che scrive sui social?

Le nostre emozioni sono indicatori del nostro stato di salute mentale. L’analisi che abbiamo utilizzato consiste nell’utilizzo di un software chiamato EMOTIVE che rileva e misura le emozioni nei post delle piattaforme social. Questo software estrae otto emozioni: rabbia, disgusto, paura, felicità, tristezza, sorpresa, vergogna e confusione. Lo studio della distribuzione di queste emozioni nel tempo e nello spazio fornisce informazioni preziose rispetto a come gruppi di persone reagiscono a determinati eventi.

 

Che risvolti pratici ha questa ricerca sul territorio?

Ad esempio, il Dott. Grübner ha scoperto che le reazioni emotive negative identificate nei tweet di chi si trovava a New York durante e dopo l’uragano Sandy si sono concentrate in specifici quartieri della città, in particolare a Staten Island. Queste informazioni permettono di pianificare e implementare degli interventi mirati per far fronte alle emergenze dove queste colpiscono maggiormente.

 

Il fatto che oggi abbiamo a disposizione delle tecnologie all’avanguardia non significa necessariamente che il loro utilizzo sia etico o legale. Quali sono le implicazioni etiche e legali di questi studi?

Il fatto che le persone condividano liberamente le loro opinioni, esperienze ed emozioni sulle piattaforme social non significa che gli addetti alla ricerca (o altri) possano impossessarsi di queste informazioni e ne possano fare l’uso che preferiscono. Gli utenti che generano contenuti online, anche se su piattaforme completamente aperte che possono essere consultate da chiunque, hanno dei diritti rispetto alla loro privacy che vanno rispettati. Immaginatevi di avanzare lungo la corsia di un supermercato con il vostro carrello della spesa. Se da una parte potete aspettarvi di incontrare delle persone, e che queste possano dare un’occhiata a ciò probabilmente intendete acquistare, dall’altra sareste probabilmente infastiditi nello scoprire che qualcuno vi ha seguiti dal momento dell’ingresso all’uscita, e che ha registrato tutti i vostri movimenti, i vostri acquisti, e i vostri scambi con il personale addetto alla vendita. Inoltre, l’analisi di grandi quantità di post, se non condotte in un modo scientificamente robusto, può generare delle conclusioni errate che possono portare alla diffusione di stereotipi e giudizi negativi tra la popolazione.

 

Come avete affrontato questi problemi?

L’eticità e legalità dei nostri studi è sempre stata al primo posto. Oltre che confrontarci tra di noi all’interno del team, ci siamo confrontati con la letteratura scientifica che ha affrontato le sfide etiche e legali di studi simili, e ci siamo interfacciati con varie istituzioni tra le quali le autorità per la protezione dei dati a livello cantonale. Ci siamo resi conto che le linee guida disponibili non tenevano conto però di un aspetto unico dei nostri dati: la localizzazione geografica dei post raccolti. Abbiamo così sviluppato in maniera interdisciplinare delle nuove linee guida che tenessero conto di questo ulteriore aspetto. Ad esempio, ci sono dei problemi di privacy molto importanti se si considera che il tweet che analizziamo contiene la posizione esatta della persona al momento della condivisione del tweet. Una delle nostre raccomandazioni è stata quella di modificare il dato sulla posizione geografica ed estenderlo a un’area più vasta così da limitare maggiormente la possibilità di localizzare precisamente la persona.

 

Fonte:

Fadda M, Sykora M, Elayan S, Puhan MA, Naslund JA, Mooney SJ, Albanese E, Morese R, Gruebner O. Ethical issues of collecting, storing, and analyzing geo-referenced tweets for mental health research. Digit Health. 2022 Apr 12;8:20552076221092539. doi: 10.1177/20552076221092539. PMID: 35433020; PMCID: PMC9008807. (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35433020/)