Anche i cani hanno i linfomi

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Servizio comunicazione istituzionale

11 Luglio 2022

In un articolo pubblicato su LabAnimal che ha visto la collaborazione tra ricercatori dell’Istituto oncologico di ricerca (IOR, affiliato all'USI e membro di Bios+) e ricercatori specializzati in oncologia veterinaria presso le Università di Torino e Bologna, sono state identificate le mutazioni più frequenti nel linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), uno dei tumori più frequenti sia negli uomini che nel cane, aprendo nuove strade terapeutiche.

Il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) è uno dei tumori più frequenti sia negli uomini che nel cane. Nonostante i grossi passi avanti nelle terapie il DLBCL rimane ancora troppo spesso non curabile, soprattutto in campo veterinario.

La malattia umana e quella canina sono molto simili ed infatti diverse molecole adesso approvate da agenzie regolatorie per il trattamento dei linfomi umani sono state impiegate prima in cani affetti da linfomi. Per questo motivo è importante studiare bene il DLBCL nei cani per apprezzarne le omologie e le differenze con la controparte umana.

 

La scoperta

Nel lavoro appena pubblicato su Lab Animal (rivista mensile di Nature, un’importante rivista scientifica internazionale) che ha visto la collaborazione tra ricercatori dell’Istituto oncologico di ricerca (IOR, affiliato a USI e membro di Bios+) e ricercatori specializzati in oncologia veterinaria presso le Università di Torino e Bologna, sono state identificate le mutazioni più frequenti nel DLBCL canino e quelle con valore prognostico e potenzialmente terapeutico. Grazie a questo studio, condotto dai due autori principali, Prof. Francesco Bertoni, Group Leader allo IOR e Prof. Luca Aresu, Group Leader del Canine Comparative Oncology Lab dell’Università degli Studi di Torino, in collaborazione con la Prof.ssa Laura Marconato dell’Università di Bologna, è emersa la frequente alterazione di geni che codificano proteine coinvolte nella regolazione della trascrizione (cioè del trasferimento dell’informazione genetica dal DNA all’RNA) in parte simili a lesioni ricorrenti anche in linfomi umani, suggerendo l’utilità di una particolare classe di farmaci, chiamati epigenetici, sui quali il gruppo dello IOR lavora da diversi anni.

Lo studio permette anche di poter meglio definire in futuro quali altri medicamenti possano essere provati nel contesto veterinario, prima di passare agli uomini, riuscendo quindi ad offrire terapie attive anche ai cani affetti da linfoma.

Infine, è stato dimostrato il ruolo delle mutazioni nel gene TP53 nel predire la risposta alla terapia in DLBCL canini e guidare lo schema decisionale da parte del proprietario, anche tramite un modello predittivo adesso disponibile in una piattaforma online (https://compbiomed.hpc4ai.unito.it/canine-dlbcl/). Il ruolo del gene in questione era già ben noto in diversi linfomi umani ma non ancora in quelli canini.

 

Trovate qui il link alla pubblicazione: 
https://www.nature.com/articles/s41684-022-00998-x